L’esperienza filosofica e religiosa di Edith Stein è fortemente intrecciata con la fenomenologia. Abbiamo anche intuito come questa impostazione metodologica sia stata trasmessa alla Stein dal suo “Maestro”, vale a dire Edmund Husserl (1859-1938). La sua stessa tesi di laurea, che ebbe come relatore proprio il filosofo ebreo e che porta il titolo de Il problema dell’empatia (1916-1917), sembra essere un inno alla fenomenologia. Bene, ma cosa effettivamente è la fenomenologia? È importante chiarire un aspetto decisivo: la fenomenologia non è una filosofia, piuttosto essa è il metodo alla base della filosofia e, come vedremo, non solo. La radice della fenomenologia è posta nella parola fenomeno. Quindi per capire su cosa si fonda il metodo fenomenologico dobbiamo prima comprendere che cosa sia un fenomeno. Detto semplicemente, il fenomeno è inteso come ciò che è reso manifesto, come ciò che risulta talmente evidente da non poter essere negato, potremmo dire essere ciò che funge da fondamento per la ricerca della verità. Il punto di partenza della fenomenologia di Husserl è esattamente questo: teorizzare un metodo – quello fenomenologico per l’appunto – che possa rendere manifesto alla coscienza dell’uomo ciò che appare come fenomeno.
La felice espressione che Husserl utilizza per descrivere questo atteggiamento può essere tradotta e riassunta col motto: andiamo a vedere come stanno le cose. Facile? Forse, ma quel vedere indica un oltrepassare il manifestarsi primo delle cose - che può essere apparenza superficiale - per dirigersi verso le intime caverne dell’umano, là dove dimora la consapevolezza del mondo. In questo senso, è bello riferirsi alla espressione che utilizza la filosofa italiana Sofia Vanni Rovighi, quando scrive: «Ora parrebbe che il guardare, il riferire ciò che si manifesta originariamente, fosse la cosa più facile del mondo, ma non è detto che ciò che è più manifesto, che è a fondamento di ogni conoscenza, sia ciò di cui siamo abitualmente più consapevoli». Questa visione di fondo, portò Husserl ad intendere la fenomenologia come epoché (lemma già utilizzato dagli antichi filosofi scettici per indicare la sospensione di giudizio), ovvero una messa fra parentesi di tutti i pregiudizi della vita che potrebbero fungere da premesse filosofiche indebite, trasformando la stessa filosofia in una costruzione arbitraria e fantasiosa, anziché in una disciplina rigorosa alla ricerca della verità. In questo senso, la «riduzione fenomenologica», o epoché, funge da dubbio metodico, ovvero dal dubitare di tutto per conoscere ciò che risulta indubitabile, e quindi necessario per qualsiasi conoscenza.
All’interno di questa logica, la Stein è certamente prosecutrice dell’eredità husserliana. Lei, ed altri filosofi decisivi nella storia del pensiero contemporaneo, partendo dalla lezione del “Maestro”, svilupperanno il tema della fenomenologia in vario modo, giungendo talvolta anche ad esiti differenti. Per Edith Stein in particolare, la fenomenologia si configura come «la chiarificazione e con ciò l’ultima fondazione di ogni conoscenza». Risulta particolarmente interessante questo dato: la fenomenologia non è intesa dalla Stein unicamente come la base metodologica della filosofia, al contrario, essa è la base di ogni scienza e, con ciò, di ogni conoscenza. Lo statuto costitutivo della fenomenologia individua la stessa non come un sapere, ma come una metodologia; in questo senso, essa non ha un campo d’attuazione delimitato e specifico ma, piuttosto, esteso e vario. Ciò è testimoniato da diverse discipline che, seguendo certe correnti sviluppatesi al loro interno, adottano la fenomenologia come metodo d’indagine, si pensi come esempio oltre alla filosofia, alla psicologia e alla pedagogia.
Quanto possiamo dire che abbia influito la fenomenologia nelle dinamiche esistenziali e di fede della Stein? Il compito della filosofia termina là dove si pone questa domanda (dato che la fede non è deducibile né da una filosofia, né da un metodo); ma un dato certo, che potrebbe aiutare a ritracciare i lineamenti di una possibile risposta, si può cercare di descriverlo. Senza addentrarci in linguaggi specialistici, possiamo affermare che per la Stein l’indagine fenomenologica sull’empatia può portare anche a Dio. In questa direzione, l’uomo, attraverso l’empatia – che secondo la Stein si configura come la possibilità di conoscere l’altro - può conoscere il vissuto di Dio; Dio, allo stesso modo, può conoscere la vita dell’uomo, ma senza che l’uno si confonda nell’altro. Infatti, per cogliere l’altro è necessario non essere l’altro, rimanere cioè sé stessi e con sé stessi. La dinamica dell’Io e del Tu, quella di un incontro che non è mai riducibile alla propria esperienza ma che riesce a “spalancare” le porte verso la ricerca appassionata e la conoscenza (sempre limitata) della verità del mondo e dell’Altro, sembra essere, in sintesi, ciò che permise a Edith Stein di aprirsi a Dio e di fidarsi di Lui in quanto Verità del mondo.
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Continuiamo la “storia a puntate” della vita di Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein): oggi vorremmo raccontare Edith come donna, insegnante, educatrice, filosofa appassionata e desiderosa di far incontrare a ognuno la Verità che è Cristo.
VITA DI EDITH STEIN, 3a PARTE: LA PASSIONE PER LA VERITÀ (1922-1933) - assistente di E. Husserl all’Università di Friburgo -
Dal 1922 al 1933 (31-42 anni) Edith si dedica con passione all’insegnamento, allo studio, all’attività filosofi- ca, cercando di essere, nel suo impegno quotidiano, uno “strumento di Dio”, come scrive lei stessa: “Se una persona viene da me, vorrei condurla da Lui”.
Insegna tedesco presso la Scuola Magistrale e il Liceo delle Domenicane a Speyer (città nel Sud Ovest della Germania), dove studiano ragazze che diventeranno poi insegnanti. Ma la formazione, come è intesa da Edith, va ben al di là di una semplice materia da far apprendere. Con la sua sensibilità, la sua dedizione, e la sua serenità, instaura relazioni profonde con le sue alunne, che vedono in lei un esempio vivente, capace di nutrire la loro anima più di tante parole. La sua grande forza di volontà, che la fa essere esigente verso se stessa e verso di loro, le sprona a dare il meglio, in una crescita armonica della persona. È come se l’anima di Edith, formata dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia, continuasse, in ogni momento, ad educare come educa la Scrittura cioè ad essere dono come il Corpo di Cristo, per formare delle persone autentiche, chiamate a riscoprire l’originaria vocazione umana: essere immagine di Dio, essere sempre più simili a Cristo. E così si vede la realtà e gli altri con il suo Sguardo, nella quotidianità si ama con il suo Cuore, e si seminano ogni giorno segni di Bellezza. Edith, in quegli anni, si dedica poi in modo appassionato all’opera filosofica di San Tommaso, traducendo e commentando uno dei suoi trattati fondamentali, il “De veritate” (Sulla verità).
Dal 1928 al 1933 tiene numerose conferenze in patria e all’estero, soprattutto sul tema della donna. La sua accurata riflessione non è astratta o puramente intellettuale, ma sempre relativa all’aspetto educativo e formativo che le sta a cuore. Unisce così il suo bagaglio di conoscenze filosofiche alla sua esperien- za di insegnante e alla sua attenzione per i temi sociali e politici. La sua fede in Cristo permea ogni sua riflessione, come dice lei stessa: “In fondo, ciò che devo dire è sempre una piccola, semplice verità: come imparare a vivere con la mano nella mano del Signore”.
Edith - che aveva subito una dolorosa discriminazione, non avendo potuto intraprendere la carriera uni- versitaria a quel tempo inaccessibile ad una donna - tuttavia non si concentra sulla questione della parità tra uomo e donna, o sull’emancipazione femminile. Va oltre un orizzonte puramente individualistico e preoccupato di rivendicare dei diritti, e offre una nuova e originale prospettiva per quel tempo (anche all’interno della Chiesa). Aiuta cioè a riscoprire la bellezza di vivere sempre più la complementarietà tra uomo e donna; porta alla luce il valore della femminilità, che intrinsecamente ha in sé il dono della maternità, fisica e spirituale. In questo modo la donna si rivela capace di custodire la vera umanità, di difenderla e di condurla al suo pieno sviluppo. È la fecondità della donna che, nella sua capacità affettiva, vivendo l’empatia, assume su di sé il vissuto dell’altro. Così offre il proprio contributo in ogni ambito della vita: nella famiglia, nell’istruzione, nel lavoro professionale, nella società, nella Chiesa. Un contributo di riflessione e di prassi.
Edith guarda a Maria come il modello di donna, il prototipo della perfetta femminilità. E così, dice Edith, “nella sua vocazione soprannaturale, la donna è scelta a personificare, nello sviluppo più alto e più puro della sua essenza, l’essenza stessa della Chiesa, ad essere il suo simbolo”. Questa “teologia della donna”, elaborata in modo straordinario, anticiperà il cammino anche della Chiesa verso una maggiore consapevolezza del ruolo della donna, e sarà ampiamente ripresa nell’enciclica “Mulieris dignitatem” di papa San Giovanni Paolo II (agosto 1988), dando l’imprimatur della Chiesa a ciò che Edith – più di cinquant’anni prima – con lasuapassionedidonna,avevasaputocogliereetestimoniare.
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Dal 1917 al 1921 (26-29 anni), Edith attraversa un periodo difficile, di crisi e di travaglio interiore, e deve affrontare anche alcuni problemi di salute. Pur sentendo il bisogno di Dio, non riesce ad abbandonarsi a Lui e al suoAmore. Nell’estate del 1921 è ospite per le vacanze presso una coppia di amici filosofi, convertiti al protestantesimo. Una sera i due sposi si assentano e lasciano la loro biblioteca a disposizione di Edith. Per caso, tra le sue mani capita l’autobiografia di Santa Teresa d’Avila, grande Santa e dottore della Chiesa che insieme a San Giovanni della Croce riformarono l’ordine Carmelitano. Legge in una sola notte tutta l’autobiografia e, alla fine, confessa a se stessa: “Questa è la Verità!”. Ecco dove l’hanno portata la sua lunga ricerca e le sue tante domande: a scoprire che la Verità non è un ragionamento, ma è l’incontro con Cristo Crocifisso e Risorto, che ama ciascuno di un amore talmente smisurato da donare la sua vita sulla croce, per ogni uomo e per ogni donna, affinché ognuno possa a sua volta essere dono per gli altri. Edith comprende che questo incontro non avviene “in astratto”, ma nel vissuto di Gesù che si unisce al nostro vissuto, come è avvenuto per tutti quei suoi amici convertiti al cristianesimo, che per Edith, sono stati i primi testimoni della Verità. Così, nella preghiera che diventa vita vissuta e nel vivere la propria umanità guardando a Cristo (come avviene nell’esperienza di Santa Teresa di Gesù) Edith scopre un’umanità trasfigurata dall’incontro con Colui che è Via, Verità e Vita, e decide che, d’ora in avanti, quella sarà anche la sua vita. E sceglie di farlo nel cattolicesimo, amando la Chiesa nata dalla passione di Cristo, passione che si rinnova in ogni Santa Messa nel sacrificio dell’Eucaristia.
La ricerca della Verità non è qualcosa che riguarda solo i santi, o i filosofi, ma entra nella vita di ciascuno di noi: “Che cosa è “vero” nella mia vita? Chi è per me la Verità? Che senso ha la mia vita?”. Siamo chiamati a non nascondere le nostre domande, ma a cercare sempre una risposta attraverso la Parola di Vita, e attraverso anche il vissuto dei Santi che ci aiutano a scoprire come vivere concretamente la parola così che la nostra umanità sia piena, profonda, consapevole.
Dopo la conversione, Edith comprende che è solo nel Battesimo che potrà incontrare la Verità che finalmente ha trovato, attingendo alla Sorgente dell’Amore con cui desidera riempire d’ora in avanti la sua vita. Assiste allora alla sua prima Santa Messa e, al termine, va dal sacerdote in sacrestia a chiedergli di poter ricevere il Battesimo e lui, interrogandola, scopre che non vi è nessuna verità della fede su cui non sia istruita (ha infatti studiato d sé tutta la dottrina cattolica). Edith viene battezzata nel capodanno del 1922 (30 anni) e aggiunge al suo nome quello di “Teresa”. Lo stesso giorno riceve anche la prima Comunione. Edith si sente attratta dalla vita monastica, e vorrebbe entrare subito nel monastero carmelitano di Colonia, ma non vuole dare un altro dolore alla madre, già profondamente colpita dalla conversione, che non comprende, della sua figlia amata. Inoltre, il suo direttore spirituale la invita a non ritirarsi in convento, e a continuare a svolgere attività di insegnamento e di ricerca, offrendo anche in quel campo la sua testimonianza. Ma la sua vita, rispetto a prima, è completamente cambiata. Sebbene sia sempre molto occupata, riserva un posto centrale alla preghiera, e nei suoi scritti ricorda l’importanza di dedicare al mattino, no-nostante le tante cose da fare, un momento alla preghiera e al raccoglimento, così da avere la forza per affrontare la giornata e dilatare il cuore ad accogliere la vita che Gesù desidera donarci, per riuscire ad accogliere gli altri. Capisce la necessità di “vivere eucaristicamente”, uscendo dalla limitazione della pro-pria vita per trapiantarsi nell’immensità della vita di Cristo: ecco la Verità del proprio vissuto quotidiano che si unisce al vissuto di Cristo per esserne trasfigurato.
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Edith Stein nasce a Breslavia (allora in Germania, ora in Polonia) nel 1891 undicesima e ultima figlia, in una famiglia di stretta osservanza ebraica. A 2 anni rimane orfana di padre, e la madre, donna forte e animata da una profonda religiosità, prende in mano le redini della numerosa famiglia. Fin da piccola, Edith si dimostra una bambina dotata di grande intelligenza. Il suo percorso di vita è fatto però di interrogativi, di incertezze, di domande. Verso i 15 anni decide di abbandonare la fede ebraica perché non le riesce di creder in Dio diventando completamente atea. Inizia così la sua ricerca della verità, (intesa come sviluppo della conoscenza) e verso la difesa della dignità della donna.
Nel 1910 (19 anni), dopo aver concluso brillantemente gli studi liceali, si iscrive – unica donna in quell’anno – all’Università di Breslavia, alla facoltà di storia e psicologia del pensiero: attraverso lo studio della psicologia e della filosofia ricerca la verità. Edith ha un ruolo molto attivo nella vita sociale del suo tempo, impegnandosi in particolare per la difesa della parità delle donne, per il loro diritto di voto, e per la loro partecipazione alla vita sociale e politica. Questo sarà un argomento si cui torneremo anche più avanti perché Edith, dopo la sua conversione, saprà sviluppare una visione alta del ruolo della donna nella storia, nella società e nella Chiesa, arrivando ad elaborare una vera e propria “teologia della donna”.
Nel 1913 (22 anni) Edith si trasferisce all’Università di Gottinga, vera città universitaria, dove fa un incontro determinante, quello con il filosofo Edmund Husserl, fondatore della fenomenologia, il cui celebre principio è che, per scoprire la verità, occorre aderire alla realtà, ai fenomeni, così come si presentano. Edith non può allora non lasciarsi interrogare da alcuni “fenomeni” che si manifestano negli eventi della sua vita.
Nell’agosto 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, presta il proprio servizio come crocerossina volontaria, entrando in contatto col mistero della sofferenza e della morte. In quegli anni, poi, stringe amicizia con Max Scheler e con Adolf Reinach, due filosofi convertiti, l’uno al cattolicesimo, e l’altro al protestantesimo, e comincia a conoscere un mondo fino ad allora sconosciuto per lei, che la spinge a cercare oltre. Il suo primo incontro conCristo non avviene quindi attraverso le letture o lo studio, ma attraverso il contatto con le persone che portano nella loro vita l’amore per Gesù, e che, inconsapevolmente, diventano per lei pagine viventi del Vangelo. Per Edith è un’esperienza determinante quella di scoprire che la fede in Gesù crea vincoli di amicizia vera tra le persone e dona una capacità profonda di amare.
C’è poi un episodio che la segna profondamente. Durante una sua visita - per motivi esclusivamente artistici – in una chiesa, vede entrare una donna col cesto della spesa a pregare, e ne rimane profondamente colpita, come racconterà lei stessa: “La cosa mi parve strana. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti che avevo visitato si entrava soltanto per le funzioni religiose. Nel vedere invece che qui la gente entrava tra un’occupazione e l’altra, come per andare a un colloquio confidenziale, rimasi colpita a tal punto che non mi riuscì più di dimenticare quella scena”. Ecco la prima scoperta di un Dio che si fa vicino all’uomo, nella quotidianità dell’esistenza. Non un Dio lontano, ma un Dio vicino all’uomo, che cammina con lui ogni giorno.
Nel 1916 (25 anni) Edith discute la tesi di dottorato laureandosi con il massimo della lode, sul tema dell’empatia, intesa come un cogliere l’esperienza emotiva e cognitiva con l’individuo con cui si entra in contatto, per sentire dentro se stessi la verità dell’altro. Di lì a poco diventa stimata assistente del suo maestro Husserl. Ma Edith non è soddisfatta. Husserl è molto esigente e la riempie di lavoro, richiedendo una dedizione quasi completa a lui. Sono anni segnati dalle sofferenze della guerra, dalla distruzione e dalla morte che bussa anche alla porta di Edith, quando Adolf Reinach, suo amico filosofo, muore in guerra. Lui e la moglie Anna, entrambi ebrei e grandi amici di Edith, si erano convertiti da poco al protestantesimo. La giovane vedova chiede ad Edith di aiutarla a sistemare gli scritti filosofici del marito, ma Edith prova un estremo disagio nel dover andare in quella casa amica, convinta che l’avrebbe trovata piena di disperazione, sprofondata nell’ombra della morte. E invece scopre in quella sua amica divenuta vedova, la serenità e la pace che, anche nella sofferenza, arrivano dalla fede. Ammira la grande fede di quella donna, che dice: “Una volta entrati nella comunione con Cristo, ci condurrà Lui dove vuole!”. Quello è per lei uno degli eventi che le cambia la vita, come lei stessa racconta: “Fu quello il mio primo incontro con la croce. La mia prima esperienza della forza divina che la Croce dà a coloro che la abbracciano. Per la prima volta contemplai in tutta la sua luce la Chiesa nata dalla passione di Cristo e vittoriosa sulla morte. In quel momento andò in frantumi la mia incredulità, e si levò nel mio cuore la luce di Cristo: Cristo nel mistero della sua croce”. Inizia così per Edith un lungo travaglio interiore, per poter accettare e accogliere nella sua vita l’esistenza di Dio che è Amore e che, nel donarsi per amore sulla croce, si rivela vicino in modo unico a ogni persona.