Carissimi e Carissime,
il cammino unitario delle nostre quattro parrocchie ha conosciuto, lo scorso anno, un momento molto forte legato alla sua conferma definitiva, attraverso la costituzione della Comunità Pastorale il 10 marzo 2022 davanti al vescovo di Milano e il 1 maggio celebrato solennemente insieme.
È stato quello anche un momento prezioso di riflessione: chi vogliamo essere, come Chiesa, in questo nostro contesto, oggi? Quale volto di Chiesa siamo chiamati a realizzare attraverso la nostra Comunità Pastorale? La Chiesa Universale come si pensa oggi e, quindi, come siamo chiamati a pensarci noi?
In questa riflessione ci ha aiutato don Mario Antonelli (Vicario Episcopale della Diocesi di Milano per l’annuncio e la celebrazione della fede) il 28 aprile scorso, proprio in occasione della Celebrazione Eucaristica che ha dato solennemente inizio alla nostra Comunità. Vogliamo ripresentarne le linee più significative.
- Papa Francesco, nel 2017, esorta la Chiesa italiana così: “Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”. La conversione della Chiesa che Francesco sogna e promuove è legata al suo uscire missionario. Ecco una prima evidente proposta: il legame indissolubile tra missione e riforma della Chiesa. La riforma permanente della Chiesa (che è una grazia ed una esigenza) ha come suo criterio e finalità propria, il criterio missionario: riformare la Chiesa per annunciare meglio il Vangelo.
1. Tra desideri e paure...
Quale futuro per la nostra Chiesa? Questa domanda - che esprime una certa preoccupazione ma che provoca la riflessione circa il rinnovamento della Chiesa - può essere significativa a condizione che il passato sia riconosciuto come tale e, insieme, come resistente all’oggi della grazia di Dio.
Tra desideri e paure. Il desiderio di Gesù e la paura dei discepoli: è esattamente il desiderio di Gesù (quello di mangiare questa Pasqua con i discepoli) che scatena la paura dei discepoli. Gesù desidera ardentemente mangiare la Pasqua con i discepoli; desidera realizzare l’alleanza con il Padre proprio offrendo il suo corpo e versando il suo sangue; e desidera che i discepoli partecipino a questa Pasqua. Quale la paura nei discepoli? Quella della passione/croce di Gesù e la conseguente loro passione (Lc 9,43-48), paura che li spinge in modo imbarazzante a chiedersi chi tra di loro sarebbe stato “il più grande” proprio mentre Gesù si sta facendo piccolo e servo di tutti (Lc 22,24-27).
2. Alcune immagini evangeliche che esprimono efficacemente il sogno di Papa Francesco
“E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi” (Mt 26,30)
Appena dopo l’Ultima Cena, mentre il pane spezzato e condiviso ancora va a dare ai corpi dei discepoli la stessa forma di Dio, sulle labbra di Gesù e dei suoi ecco il grande inno hallel (Sal 136) che canta la misericordia eterna di Dio. In questo salmo, il primo motivo per cui Israele, chiudendo la cena pasquale, cantava la misericordia di Dio è “Lodate il Signore perché è buono”; e l’ultimo motivo del canto della misericordia 3
di Dio è che “Egli dà il cibo ad ogni vivente”. Ritmati da quel «Eterna è la sua misericordia», i passi di Gesù e dei suoi muovono verso il monte degli Ulivi: dove la misericordia si fa passione. Quando l’Eucaristia è celebrata secondo il desiderio di Gesù, si canta la misericordia e si esce verso il monte degli Ulivi, immagine di quelle periferie che attendono l’olio del Signore e della sua comunità, la Chiesa. Se, per l’unzione battesimale, si è configurati a Gesù Cristo, se nella celebrazione dell’Eucaristia siamo incorporati a lui come un cuor solo e un’anima sola, dal cenacolo, con il grande Alleluia sulle labbra, si esce verso le periferie di ogni passione degli uomini e delle donne del nostro tempo.
Cantando la misericordia di Dio, usciremo con Gesù verso le periferie di ogni passione. Al monte degli ulivi, dove la passione è davvero l’appassionarsi che si contorce in un patire, dove la passione è pazienza che resiste nel sacro desiderio di vita giusta; dove il grido si confonde con la supplica, dove la solitudine e la tristezza sconvolgono l’anima, dove il calice del fallimento diventa imbevibile, dove si suda sangue. La Chiesa che esce dall’Eucaristia, che dall’Eucaristia è generata non può cantare la misericordia stando sull’uscio e osservando da lontano il monte degli ulivi, gridando, a quanti lo abitano, dottrine e precetti, scagliati come pietre... Tornare a frequentare i margini delle strade e i sepolcri del nostro tempo, ritrovare familiarità con l’umano reale. Avremo la stessa predilezione di Dio per i piccoli, i poveri e i peccatori; e stringeremo vincoli d’amore con quanti, anche nella Chiesa, patiscono l’indifferenza e soffrono l’assedio della religione della legge.
Infatti nel culto cristiano, quella carne viene celebrata e ricevuta come piena della vita di Dio (carne benedetta in cui abita la pienezza della divinità). Per questo dalla Messa si esce come artigiani della cultura dell’incontro, della fraternità, della comunione, della sinfonia di voci.
In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà.
Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro. (Mt 18,19-20).
Se due si accorderanno: letteralmente se due “uniscono le voci” (= sin-fonia). Senza che uno o l’altro alzando la voce, copra quella dell’altro; senza che i più siano costretti a scimmiottare la voce di pochi. Solo unendo le voci, esattamente nella loro differenza, la comunità si ritrova davvero docile alla voce dello Spi- rito che grida lo stesso “Abba’, Padre” di Gesù; la voce dello Spirito che guida alla verità tutta intera.
Domandano: l’esito dell’unire le voci, del condividere visioni, sogni, letture del Vangelo, sarà il decidersi per passi di rinnovamento che non prospettano qualcosa che è a disposizione delle nostre misere forze. Saranno immaginati passi di conversione e di riforma che, proprio perché degni del Vangelo, implicano un domandare la grazia di Dio. E domanderemo quello che domanda/desidera Gesù.
Dove due o tre sono riuniti nel mio nome: è un passivo! Dove “veniamo riuniti”, non nel nome di uno dei due o tre (cfr Mt 18,1s!), ma nel nome di Gesù: riuniti perché ci si sente convocati da Gesù.
Lasciandoci trasportare in alto da questi “sogni”, ci auguriamo una buona ripresa del cammino nel quale, insieme, tenteremo di realizzarli nella concretezza della nostra vita comunitaria.
Con affetto
don Stefano con
don Luigi, don Gino, don Romano, diacono Claudio
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