Nei giorni scorsi è uscito, nelle librerie e online, il secondo libro di don Romano, dal titolo “Con amore di Padre. Una guida per vivere il quotidiano” (Àncora Editrice).
Si tratta di una raccolta di meditazioni e omelie da lui tenute nel corso degli anni, e che, attraverso l’ascolto della Parola, vogliono tracciare una via della gioia ispirata al Vangelo.
Come scrive don Romano nell’Introduzione al libro:
«Desidero con queste riflessioni sostenere la fatica di quanti cercano le sorgenti della gioia, camminando per i sentieri aspri e insicuri della vita. Questo libro vuol essere per il viandante quasi una mappa che lo orienti, lo sostenga nella fatica del cammino, segnali insidiose deviazioni inopportune, alimenti quei sogni proprio quando sembrano impossibili, offrendo un'alternativa ricca di senso»
Ti ringraziamo, don Romano, perché condividi con noi questo cammino alla ricerca della gioia, mostrandoci sempre la bellezza di porci in ascolto della Parola di Dio!
Per chi desiderasse acquistare il libro,
è possibile lasciare il proprio nome nelle sacrestie delle chiese dell’Unità Pastorale.
INTRODUZIONE
«Eppure l’uomo, una particella del tuo creato,
vuole lodarti.
Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi,
perché ci hai fatti per te,
e il nostro cuore non ha posa
finché non riposa in te»
(Agostino, Le Confessioni, 1.1).
«Viandante,
non c’è sentiero,
il sentiero
si fa camminando»
(Machado).
Rileggo l’indice di Con amore di Padre. Stupisco nel vedere raccolti, pur nella frammentarietà, argomenti e riflessioni su tematiche diverse ma attente a tracciare una via della gioia ispirata al Vangelo. Ho scoperto in me e negli altri questa ricerca persistente e inquieta della felicità.
Mi appassionava educare all’ascolto della Parola e consigliare una familiarità quotidiana con
essa, educare a meditarla e a pregarla: così nell’inquietudine della ricerca si riconosce la voce di Colui che oggi continua a chiamare tutti e ciascuno alla gioia, a fidarsi della promessa offerta nelle Beatitudini: «“Vieni e seguimi!”. Soltanto Chi è sicuro di poter rendere felici può parlare così» (H.U. von Balthasar).
Meditando la Parola riscopro con commozione quanto il Signore Gesù sia preoccupato di essere la gioia per noi: con il Padre e lo Spirito. Ne parla la sera stessa in cui è tradito: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). Di nuovo, prima di morire, la sua commossa preghiera al Padre esprime questo desiderio: «Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17,13).
Da diacono sentivo la bellezza dell’essere prete per educare alla gioia, alla gioia di essere con Gesù, e me lo sono scritto sull’immaginetta della prima Santa Messa, come un proposito, un programma: «Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete saldi» (2Cor 1,24).
Sto cercando la sua gioia con tutto me stesso da una vita, con gli altri e per gli altri, e ne attendo il compimento.
Convertirsi alla gioia promessa
Desidero con queste riflessioni sostenere la fatica di quanti cercano le sorgenti della gioia,
camminando per i sentieri aspri e insicuri della vita. Questo libro vuol essere per il viandante quasi una mappa che lo orienti, lo sostenga nella fatica del cammino, segnali insidiose deviazioni inopportune, alimenti quei sogni proprio quando sembrano impossibili, offrendo un’alternativa ricca di senso.
Commento la Parola di Dio da portare con sé nel cuore, sempre nella «bisaccia del pellegrino», tanto cara a don Tonino Bello che comunicava il gusto del camminare lungo la via e sapeva parlare ai giovani inquieti, in ricerca del senso della vita.
Per tutta la vita come confessore, come guida di laici, di seminaristi e futuri presbiteri il ministero è stato una permanente esperienza di gioia. Ho imparato molto dal loro vissuto, soprattutto dal loro modo di decidere le scelte fondamentali della vita: ho appreso la loro gioia (la gioia del cristiano!), di essere sempre più credenti e credibili.
La Chiesa ha ragione nel menzionare ai preti che il segreto della gioia sta certo nell’ordinazione, ma cresce quanto più ci si converte nel ministero: si diventa preti grazie al popolo di Dio, nel quale lo Spirito ci conforma a Cristo Sacerdote, sino a farci scoprire la bellezza del Vangelo come cammino della felicità possibile.
L’alternativa, la paura di scegliere, lo scegliere di non scegliere, vivendo l’attimo presente disinteressati del futuro, della verità che dà senso al vivere, è la morte certa. Operare una scelta, vuol dire decidere: se scegli, perdi qualcosa, ma se non scegli… perdi tutto! È l’amaro epitaffio
di George Gray, che nella tomba ammette il suo fallimento. Non ha saputo scegliere tra «il dare un senso alla vita, che può condurre alla follia e la tortura di una vita senza senso».
Anche l’ultima età della vita è una stagione di gioia
Anche la terza età, ultima stagione della vita, l’età del vecchio Simeone, è benedetta (cf Lc 2,28ss). Lo Spirito fa della sua vita un cantico. Ne fa un tempo di riconoscimento del passaggio della Salvezza, di compimento della promessa: l’ultima chiamata alla gioia. Legando la fatica del presente alle attese del futuro si scopre che la vita ci è stata data per essere offerta e si continua a trasmettere vita. Così accade se si fa memoria, si ricorda la fedeltà del Signore, e le tante e immeritate grazie ricevute. Ci si sente ancora preziosi, utili per gli altri e il futuro non fa più paura perché l’ascolto della Parola di Dio dà occhi nuovi, occhi giusti per vedere la realtà. Del passato non emergono prima di tutto fallimenti, peccati, errori e ingenuità commesse, ma quanto siamo stati rallegrati dalla presenza del Dono, di molti altri doni e in particolare del dono dell’altro. Ci si sorprende per quanto si è appreso dalla fede degli umili e dei piccoli che sono vissuti accanto a noi.
Come la vecchietta semplice che «salva il villaggio». «Non compresa, e abbandonata persino dal marito, estranea alle sorelle e alle cognate, ridicola, pronta a lavorare stupidamente per gli altri, senza compenso, essa, che aveva sepolto i sei figli ma non l’indole sua socievole, non aveva accumulato averi per il giorno della sua morte. La capra color bianco sporco, il gatto zoppo,
i ficus… Le eravamo vissuti accanto, e non avevamo compreso che era lei il Giusto senza il quale, come dice il proverbio, non esiste il villaggio. Né la città. Né tutta la terra nostra».
Il segreto della gioia: vivere nello Spirito il quotidiano come chiamata
È importante nel viaggio interiore imparare l’arte dell’ascolto, l’arte di ascoltarsi nel silenzio e di ascoltare l’altro, senza precomprensioni, prescindendo da schemi o da pregiudizi; solo così si può percepire «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 3,22).
A volte mi è stata posta una domanda imbarazzante: «Esistono schemi che si possono usare nell’accompagnamento spirituale, nell’educare, nel predicare, nei colloqui che introducono al sacramento della Penitenza?». Molti maestri sapienti, e non pochi santi (come sant’Ignazio di Loyola), offrono importanti metodi interpretativi della vita secondo lo Spirito. Sono preziosi, utili, collaudati… Ma non esistono… saturimetri per misurare lo stato di salute, i movimenti spirituali in quel «guazzabuglio che è il cuore umano». Una cosa è certa: lo Spirito «viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare […] lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (cf Rm 8,26-27). Perché non invocarlo ogni giorno?
Spirito di vita e di santità
per la cui opera il Verbo si è fatto carne nel seno della Vergine,
donna del silenzio e dell’ascolto,
rendici docili ai suggerimenti del tuo amore
e pronti sempre ad accogliere i segni dei tempi
che tu poni sulle vie della storia
(Giovanni Paolo II).
Ogni giorno lo Spirito salva il nostro quotidiano rivolgendoci la Parola. Sin dal primo mattino ci parla: non ci dà un programma da eseguire, non ci impone delle scelte, ma con la sua Parola penetra tra l’intreccio dei nostri desideri infiniti e la nostra invincibile debolezza, rigenera la libertà, perché acconsenta al suo amore. «La volontà del Padre mio è che portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (cf Gv 15,16). Il Vangelo non ci imporrà mai quello che bisogna fare, ma ci chiamerà in tutte le cose a condividere con Lui, nelle piccole e grandi scelte, la gioia di essere dono per tutti. Dunque la chiamata è quotidiana: si va di chiamata in chiamata. Così il credente impara l’arte di ricominciare a vivere, ricominciare a sperare, ricominciare a credere. Ricominciare ad amare ogni giorno! Il tempo e lo spazio del quotidiano ci sono donati in vista di una conversione continua alla gioia promessa. E il Maestro interiore guida, consola, sostiene i passi del pellegrino.
Ce lo ricorda Agostino: «Noi non ci poniamo in colloquio con l’individuo, che parla all’esterno, ma con la verità […]. E colui che insegna è Colui con cui si dialoga, Cristo, di cui è sta
to detto che abita nell’uomo interiore, cioè l’eternamente immutabile potere e sapienza di Dio». «Non possiedi orecchi anche nel tuo cuore? […] Altrimenti che senso avrebbero le sue parole: “Chi ha orecchi per intendere intenda” (Lc 8,8)? […] Rientra nel tuo cuore: lì esamina quel che forse percepisci di Dio, perché lì si trova l’immagine di Dio». Dunque la Sorgente della gioia è in noi!
Ma attenzione! «Il viaggio più lungo è il viaggio interiore» (Dag Hammarskjöld). C’è un succedersi di stagioni imprevedibili. Non solo le quattro stagioni secondo la sapienza popolare: c’è il tempo di imparare e c’è il tempo di insegnare. Viene poi il tempo di andare nel bosco e, infine, c’è il tempo dell’essere mendicanti. Ma esistono diverse chiamate che sembrano inaccettabili, intollerabili.
Aveva visto bene p. Voillaume, nelle sue lettere indirizzate ai Piccoli Fratelli di Gesù. Chiedeva loro di vigilare con discernimento sulle ripetute crisi che attraversavano nella loro consacrazione. In tempi di crisi li esortava a riconoscere le nuove chiamate del Signore nelle diverse stagioni della vita. Anche nelle più difficili. Parlava loro della seconda chiamata di Gesù, che ci invita a ricominciare la nostra vita e a rimetterci in cammino sotto una nuova luce, confortati dalla Croce di Gesù, nel momento in cui tutto, in noi ed attorno a noi, concorre ad incitarci ad arrestarci, stanchi, sul ciglio del cammino, o ci spinge allo scoraggiamento e, forse, a tornare indietro. «Quanto è stretta la porta che conduce alla vita» (Mt 7,14).
Imparare l’arte del discernimento
Condivido l’auspicio appassionato di Enzo Bianchi: «Se ciascuno di noi e la Chiesa nel suo insieme sapessimo esercitare meglio il grande dono di Dio del discernimento, forse molte vocazioni sarebbero più feconde, la vita ecclesiale sarebbe più ricca di doni e meno conflittuale, la carità risplenderebbe in tutto il corpo ecclesiale e nella compagnia degli uomini […]. Altrimenti la Parola di Dio rimane distante e incapace di ispirare la vita dei cristiani, i quali non sono più sotto la guida dello Spirito, ma camminano come ciechi, senza sapere dove andare».
Un credente (una credente) può vivere il quotidiano solo grazie a un discernimento continuo. Non si può camminare a caso, con leggerezza, in maniera s-criteriata o dissennata. Il cammino è sempre un tempo di prova, di combattimento spirituale. Soprattutto in questa stagione di impressionanti cambiamenti siamo invitati come singoli cristiani e come Chiesa ad esercitare meglio il grande dono di Dio del discernimento, ad entrare in un processo delicato aiutati dai doni dello Spirito, che ci ispira i criteri stessi di Gesù. Egli in ogni scelta cerca di piacere al Padre: «Quando innalzerete il Figlio dell’uomo, vi accorgerete che IO SONO e vedrete che non faccio nulla per conto mio; io dico ciò che mi ha insegnato il Padre. E poi, colui che mi ha mandato è con me, non mi lascia solo; perché io faccio sempre quello che piace a lui» (cf Gv 8,28-29). Se per il discepolo continua è la conversione, continua deve essere nel suo discernimento la sintonia con il Maestro. Deve apprendere con gioia per l’urgenza di dare una forma alla propria vita, sino al suo compimento!
Questo processo non è solo un’operazione individuale: deve diventare anche un fatto ecclesiale, comunitario, per interpretare «i segni dei tempi» (Mt 16,3). Ce lo ricordava più volte papa Francesco già nella sua prima lettera apostolica Evangelii gaudium.
In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. In questo mondo i ministri ordinati e gli altri operatori pastorali possono rendere presente la fragranza della presenza vicina di Gesù ed il suo sguardo personale. La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa «arte dell’accompagnamento», perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana (n. 169).
Questo testo ci aiuta a fare memoria che non siamo soli. Alla scuola di Maria, discepola del Signore, e in compagnia dei Santi impariamo ad ascoltare il Maestro interiore, lo Spirito del Risorto, che chiama più volte, alla vita, alla fede, al servizio e… all’eternità (Paolo VI).
Inquietudine e gioia
Con amore di Padre riporta frammenti di meditazioni sulla Parola, suggerimenti sapienziali per interpretare l’intreccio di sentimenti, emozioni, illuminazioni interiori al fine di ascoltare i desideri del Signore sulla propria vita: ciò che Lui vuole da te non senza di te, in vista della missione che sarà affidata.
Penso in particolare a quella condizione interiore, incontrata di frequente nel ministero: l’inquietudine. Mi par di capire che, se essa è riconosciuta con consapevolezza e ben interpretata, non sia l’opposto della gioia. Certo può essere un pensiero negativo: «L’uomo, nato da donna, ha vita breve e piena di inquietudine; come un fiore che spunta e avvizzisce» (Gb 14,1-2a). Ma può diventare luogo, via che prepara allo stupore: per questo percorso si può riconoscere l’opera di Dio. A torto si guarda ad essa come a una condizione interiore, potenzialmente pericolosa e preoccupante. Qualcuno l’ha chiamata il carburante della vita. Infatti può generare un’esigenza di cambiamento, una sete di rinnovamento, di libertà, in particolare quando si è soffocati dalla banalità del quotidiano e si desidera una nuova vitalità interiore, un nuovo ardore.
Esiste un’inquietudine che viene trasformata dallo Spirito. Ne parla papa Francesco in un’omelia a Santa Marta. «C’è nell’anima nostra la possibilità di avere due inquietudini: quella buona, che è l’inquietudine, che ci dà lo Spirito Santo e fa che l’anima sia inquieta per fare cose buone, e la cattiva inquietudine, quella che nasce da una coscienza sporca».
Spesso l’inquietudine è accompagnata da interrogativi importanti, che si affollano nella profondità della coscienza. Grandi domande accompagnano il viaggio interiore. Sono preziose e vanno riconosciute, apprezzate, coltivate e, spesso, rimesse in ordine.
Nell’accompagnamento si cerca di fare emergere le domande nascoste, ignorate spesso dallo stesso interlocutore. Chi è Dio per me? Che cosa ne fa dei miei desideri, sogni, fatiche, ricerche? Chi è l’altro per me? La qualità delle mie relazioni è autentica? Quale esperienza di Chiesa sto vivendo? Mi conosco? Vivo nella fede il senso del peccato? L’Avversario, sempre attivo nel mio quotidiano, quali astuzie sta usando? Lo Spirito è una promessa che ci nutre solo di promesse oppure ogni giorno ha cura di me? Egli mi custodisce con interventi concreti, ma io li riconosco?
Questi e altri interrogativi importanti affiorano nei colloqui all’attenzione della guida. Insieme si condividono i criteri per discernere, insieme si ritorna alla Sorgente, l’Amore folle di Dio, l’Amante, l’Amato, l’Amore, cioè la Trinità che abita in noi. E presso la Sorgente ci si disseta.
Romano Martinelli